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Ph: ringhio - Cuba |
Ho fatto un sogno...
All'inizio non era particolarmente bello, nonostante l'intensità fosse palpabile fin da subito.
Ero in una casa coloniale cubana, molto ben tenuta, affrescata con mille colori, con un bel patio pieno di piante e fiori e drappeggi per sopperire alla calura estiva.
Mi davano ospitalità due signori, una coppia di media età, che mi aveva presa in simpatia e mi vedeva come una figlia. Lei, molto austera, era il capo e pesava quanto suo marito e la governante insieme. Lui, gracile, con la pelle bruciata dal sole e gentile, tanto. E poi c'era la governante, una tipina pelle e ossa, saggia, quanto il mare, raggrinzita, curva, con un cappello di paglia che le oscurava gli occhi, ma che in ogni suo movimento sprigionava calore, amore, grinta e dolcezza. Rimaneva a volte seduta sul suo piccolo sgabello ad intrecciare qualcosa, altre stendeva i panni, quei panni bianchi, da far male agli occhi.
Mi invitarono a cena e arrivò ogni genere di frutta e altri generi alimentari, ma ricordo solo la frutta. Tanta, di tutti i colori, grandezze e varietà. Mai assaggiata nessuna di quelle, ma le provai tutte perché la padrona altrimenti si sarebbe potuta offende e chi mai vorrebbe fare un torto ad un peso massimo.
Si intavolarono dei discorsi per spezzare il silenzio. Discorsi stupidi all'inizio, come si fa sempre quando non si conosce qualcuno, finché l'incalzare della serata ci portò a parlare del senso della vita, delle aspettative, di perché io fossi lì, del perché loro avevano scelto quel tipo di vita. Lei, alzò i toni perché voleva aver ragione sul fatto che se loro sono stati così fortunati da avere tutto quello che hanno, non devono rendere conto a nessuno e che non c'è nient'altro fuori di lì...
Ora non ricordo le esatte parole, ma mi ferirono, molto. Ricordo, nonostante io non sia prodiga nel dare consigli o controbattere, che mi scaldai. Mi salì un fuoco dai piedi, fino al cuore e poi agli occhi ed infine al cervello. Iniziai a singhiozzare, a piangere dal nervoso, a spiegare di quanta bellezza c'è là fuori, negli occhi della gente, nelle parole di un bambino, nei gesti lenti di un anziano, in un tramonto, in un'ora di solitudine con un buon libro. Mi gettai rannicchiata a terra, perché lei non poteva capire questi discorsi e io stavo male per lei. Suo marito, si accasciò a terra e mi circondò con un braccio, finché non riuscì a rialzarmi e a far pace con me stessa.
Era arrivato il tempo di andarmene da quella bellissima casa, che mi aveva comunque insegnato molto.
Era mattina quando uscii e presi una bici, che la governante della casa mi regalò. Avevo con me questa bici ed un vestito bianco, fatto a mano da lei. Nient'altro.
Girai e girai un paese e poi un altro, passando rasente a spiagge di una bellezza sconvolgente, bianche e gremite di locali che giocavano, facevano il bagno e prendevano il sole, dopo una mattinata di lavoro.
Impegnata nella salita e a fantasticare su questi posti, non mi accorsi di un ragazzo che stavo per investire, attraversando la strada. Anche lui vestito di bianco.
Mi fermai per chiedergli se andasse tutto bene e per scusarmi, ma lui con un sorriso mi disse, vieni, ti porto a vedere il sole spegnersi nel mare, in un posto che pochi conoscono.
Abbandono la bici non so dove e mi faccio trascinare in questo teatro naturale, dove conosco altre persone. Al largo dei kitesurfers che con le loro vele salutano il sole, piegandole al volere del vento, una volta a nord e una volta a sud, una campana che suona in lontananza, le risate di bambini che giocano a palla, la pace, la felicità e in quel momento, mentre quella sfera enorme rosso fuoco tocca il mare, perdo le parole, perdo la voce, perdo il respiro. Non c'è più nulla intorno a me, come se fossi in una bolla e poco dopo, questo magnifico sole, lascia spazio a quanto di più bello sia stato creato nel firmamento. Avvolta da una coperta di stelle, mi risveglio, felice e grata per un sogno così.