Patch

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venerdì 29 dicembre 2017

Scegli! E' un tuo potere

Eccoci qui sulla nave che rientra a Kyushu per proseguire il giro dell’est dell’isola. Questi 9 giorni su Amami sono stati splendidi, caldi, rilassanti e soprattutto ho trovato una marea di nuovi amici, tutti affettuosi e con voglia di condividere una loro parte di vita con me. 
I padroni della Guest House sono stati super accoglienti e hanno sempre dato più di quello che potevo aspettarmi. Persone generose e di cuore senza dubbio. E poi le ragazze con cui ho passato i più bei momenti, dove abbiamo fatto snokelling e avvistato una miriade di pesci colorati e una tartaruga marina, ho fatto kayaking per la prima volta pensando di non riuscire più a tornare a riva causa corrente avversa, ho fatto yoga davanti all’oceano per poi tuffarmici e ancora foreste e cascate e amicizia, che purtroppo manca. Gli amici mancano e sono le certezze della propria casa. Ma avere qualcuno con cui condividere le giornate ha un prezzo impagabile. 
In questi giorni che sono rimasta sola ho iniziato ad organizzare la prossima nazione che visiterò. È da qualche tempo che mi frulla in testa un’idea e che pian piano la sto facendo diventare reale, con alcune persone. Un contatto che tempo fa mi fu utile per la tesi di laurea, oggi mi è utile sotto un’altra forma ed io per loro. E ne sono tremendamente felice. Mi auguro di essere all’altezza di quanto mi chiederanno e come sempre io cercherò di impegnarmi al massimo. 

Non so il futuro cos’ha in servo per me, ma qualunque cosa sia, è grande e io voglio prepararmi per bene ad aprire le braccia ed il cuore il più possibile, per contenere tutta l’esperienza e la gioia che può darmi questo viaggio. Ringraziando sempre questa mia scelta e chi mi ha indirizzato per la via giusta. 

giovedì 28 dicembre 2017

Riflessioni #X (tirati una schioppettata)

E’ una giornata un po’ così oggi, forse perché la sto impegnando a scrivere e a cercare di terminare la guida del pellegrinaggio di Shikoku.
Però il mio pensiero, ma come sempre, finisce lì, e bussa a quella porta e mi sale un po’ di tristezza.
Vorrei sapere cosa fai, come stai, che progetti hai e cosa stai organizzando, vorrei ricevere un tuo messaggio ed una tua foto o una chiamata, vorrei sapere se ci sono ancora nei tuoi pensieri oppure sono già sparita o qualcuno ha preso il mio posto.
Vorrei sapere come la gente può sciacquare via dal cuore, dei momenti così belli che nemmeno il più bel viaggio del mondo può regalarti.
Pensieri che vanno forse contro tutto il lavoro che sto facendo, ma che ogni tanto tornano. Ogni tanto, perché sono più le volte che penso che meglio così, che è giusto così, che non si può pretendere nulla in queste condizioni. Ma poi cado spesso nella speranza che qualcosa possa essere, in un futuro, perché ancora credo che questa cosa che c’è stata non è finita, che il legame c’è ancora, che insieme può andare.

Poi vedo la realtà, però, e la realtà è un’altra. e dopotutto, non c’è nessuno che mi aspetta o che ha questi miei stessi pensieri. Perché come dice il mio amico Chris “Life is a kick in the bollocks” e questa è l’unica vera verità.

venerdì 22 dicembre 2017

Nelle puntate precedenti

E con oggi siamo a 2 mesi circa di questo viaggio.
Mi sono proposta di fare una sorta di riassunto ogni mese, così da tenere in archivio qualche pensiero e qualche foto.

In pratica sono rientrata sull’Honshu i primi di dicembre, cercando di bypassare velocemente Osaka, perché per qualche strano motivo è un polo che non mi attrae particolarmente, ma dovevo recuperare una nuova sim card e quindi mi è toccata. C’è da dire che ho avuto la piacevole occasione di scambiare due parole con un simpatico cameriere. Le quali sono state: “Ma ti sembro una con la faccia da allocca? Non esiste che tu mi fai pagare per quello che io non ho chiesto!”. E così ho salutato Osaka con un bel dito medio… Però l’ostello era molto carino :)

Dopo Osaka, ho iniziato a percorrere i punti che avevo studiato durante le superiori. Le parti più turistiche se vogliamo, ma comunque affascinanti.
Raggiunta Nara, dove sono rimasta 2 giorni e dove ho fatto foto a non finire con i cervi e con i Buddha più grandi del Giappone, ho poi passato Kyoto, dove avrei dovuto rimanere per 2 giorni, ma che invece sono diventati 5.
Kyoto è davvero immensa e c’è tanto, troppo da vedere. Il ragazzo della reception mi ha dato tante di quelle info che ad un certo punto ho fuso. Premetto che preferisco girare a piedi e quindi fare 16 km (tra andare e venire) mi portano via una giornata, se comprendiamo la visita ad una singola zona.
Il giorno prima di abbandonare Kyoto, chiedo alla ragazza dell’ostello come raggiungere Himeji e quale è il mezzo più conveniente. Mi risponde il treno, ma di andare però vicino alla stazione a prendere il biglietto, di fronte allo starbucks, perché c’è uno stand che vende scontato. Na botta de culo!
Ed effettivamente 500yen di sconto c’erano.
Ad Himeji sono arrivata parecchio presto e così ho visto finalmente il castello dell’airone bianco. La tappa successiva, Hiroshima e Miyajima. Quest’ultima famosa per il torii che con l’alta marea viene parzialmente coperto.

Momento dei saluti. Saluto l’Honshu e vado a sud, verso Kyushu e verso Fukuoka, che non visito perché ci dovrò tornare a metà gennaio. Quindi ancora più a sud, trovo due paesi che sono famosi per le porcellane. Tutti conoscono le porcellane di Imari e Arita, tranne me.
Seguito per Kumamoto, che purtroppo è stata investita da un terremoto lo scorso anno e quindi alcune zone non erano visitabili, tra cui il castello. Il monte Aso, che è un vulcano ancora attivo, è avvicinabile, ma non troppo e tra questo e il terremoto decido quindi di rinunciare. Dicono che per la primavera del 2018 dovrebbero rimetterlo in sicurezza.
Dopo due giorni, mi sposto ancora più a sud, per aspettare di prendere un battello che mi porterà dove sono ora, ovvero ad Amami Oshima, nell’arcipelago delle Ryukyu.

Detto questo, dopo una nottata rinchiusa su un traghetto, con un leggero senso di nausea, che è stato domato dormendoci sopra (ma non avevo dubbi), sono stata sputata sul porto alle 8 anziché le 6, causa problemi tecnici. Insomma, siamo partiti per poi tornare al porto dopo mezzora di navigazione, per poi ripartire con tutti i pezzi al loro posto.

L’ostello.. beh… boh! Qui c’è il sole, c’è caldo e domani affittiamo una macchina e andiamo nella foresta vergine! Yeahhhh

giovedì 21 dicembre 2017

(DIS)Avventure in barca

Ogni volta che devo prendere una nave, un battello, una qualsiasi cosa che mi faccia navigare, mi prende un senso di ansia. 
In famiglia avevamo una barchetta, ribattezzata bagnarola col tempo, che ci portava avanti e indietro dalla costa italiana a quella jugoslava (ex). Tutti gli anfratti e le zone più isolate erano nostre e di qualche altra famiglia con i gommoni al seguito. Non so se è stata una certa serie di avvenimenti o cosa, ma un anno, proprio quello con la a maiuscola, successero le peggio cose. 
Premetto che i miei avevano deciso di farla via terra, ancorando la barca alla macchina. Pronti?
1-La barca si stacca durante una salita, ovviamente va indietro. Mio padre si lancia fuori dalla macchina e mia madre prende il volante, saltando dalla parte del guidatore. (Non ridete.. vi vedo!) che col senno di poi, perché non ci siamo fermati, non lo so. 
2-Barche attraccate al porto. Io che voglio andare su quella di mio “zio” (tra virgolette perché in realtà è per partito preso). Faccio per saltare sulla sua dalla nostra e.. boom, lo spazio tra le due si allarga e io finisco in mare, senza braccioli, non sapendo nuotare. Mi hanno ripescata per le trecce. 
3-(eeee non è finita) siamo su di un’isoletta sperduta. Zero di niente. Solo noi. “Mammaaaaa, vado sull’amaca!” Mi siedo e inizio a dondolare. Ho detto siedo, non sdraio. L’amaca fa un triplo carpiato e finisco per terra, con un taglio nella testa ed un dente completamente estirpato. Mio “zio” (di cui sopra) prende una pinza da fabbro e me lo stacca del tutto. Quando saremo sulla terra ferma vedremo il da farsi. 
4-Tutti risaliti sulla barca e io ancora in spiaggia. Barca a largo e io con i braccioli. Mi lancio nell’acqua più alta o a ridosso della spiaggia dove ci sono le anemoni? Secondo voi?! Vada per le anemoni dai, non faranno così male... una distesa di anemoni.. attaccate su tutto il corpo! Di cui le cicatrici. 

Ce ne sarebbero altre, ma non inerenti al fattore barca. 
Quindi, al di là della sfiga dell’anno, da lì credo di aver sviluppato una sorta di “vomitino facile”, che mai prima avevo avuto. Credo di poterlo ricondurre a quello.. 

Ora, io mi imbarco per 12 ore e vediamo che succede. 

mercoledì 20 dicembre 2017

E son problemi.. ROSA

Ultimo giorno e domani ci si imbarca per fare 12 ore di traversata per arrivare ad Amami. Che delirio.. spero di dormire durante la notte.
In questi giorni, avere sempre lo stesso posto in cui tornare, è stato piacevole. Cominci a conoscere quelli che come te si fermano più a lungo, parli, stringi amicizie.
Ieri il ragazzo della reception mi chiede “ma cosa fai dopo di qui?” e io “vado verso Fukuoka e poi chissà.. l’idea è blablabla, e poi blablabla”.
Mi chiede che lavoro faccio e gli rispondo che facevo la receptionist, ma ho lasciato il lavoro per viaggiare un po’. D’altronde è un sogno che coltivo da anni, vedere e conoscere un po’ di mondo.
Non so come, iniziamo a parlare di stipendi, tasse, governi e mafia e così ci ritroviamo dopo un’ora ad aver parlato e fatto opportuni confronti tra le nazioni.
Non che avessi grandi cose da fare e comunque una chiacchierata mi ha fatto piacere, però volevo andare a vedere dei giardini particolari e una spiaggia e quindi ho salutato e sono scappata.
Oggi stessa identica situazione. Scendo a fare colazione e mi becca Nayako, una ragazza che è qui da qualche giorno. Ieri sera ho tenuto una lezione sull’olio d’oliva ed il vino del nord e del sud e relative differenze. Stamattina era la volta della pasta e pizza. Ad un certo punto scende la signora che dorme nella nostra stanza e inizia a parlare a raffica, che nemmeno Nayako le stava dietro. Parliamo di quanto i francesi siano fashion e che lei vorrebbe essere francese, poi però dice che loro non sorridono mai, mentre noi italiani abbiamo il sorriso in bocca. Beh, la cosa non poteva farmi più piacere.
La signora non ci mollava più e così appena ha messo in bocca una forchettata di minestra, che non si poteva vedere, ho alzato i talloni e sono scappata.
Sono andata a fare un giro per il quartiere dello shopping perché volevo vedere se avevano le strisce per la ceretta e capire se mi era fattibile fare la tinta.
Giro un po’ di supermercati che si occupano soltanto di prodotti igienici. I colori qui in Giappone sono dal castano al nero, in tutte le sfumature, mentre il biondo non viene considerato. Ormai sono diventata bionda e dato che così tanto non sto bene, ho deciso di provare.
Compro la tinta, castana sul rossiccio, che poi è il mio colore, non calcolando che avendo la decolorazione, uscirà una schifezza.
Bene! Trovo anche le strisce per la cera. Molto bene!
Tornata in ostello, essendo le 15.00, decido di mangiare qualcosa e poi buttarmi in doccia. Se tiro troppo tardi diventa un problema perché poi gira troppa gente, invece così ho il bagno tutto per me.
Lo occupo per mezzora circa. Metto il colore, che va tenuto per 15 minuti e intanto stacco le strisce.
Credo che qui non sappiano cosa sia farsi la ceretta. Avete presente le strisce che da noi sono doppie e che puoi usare più volte? Ecco, qui no. Qui la striscia è singola e la puoi usare una volta sola. Sono rimasta male. Ho fatto una ceretta di merda. 
Va bene, vediamo il colore, magari sono più fortunata!
NUOOOOOOOOO, sono uscita R O S A A A A ! ! Ma come cazzo è possibile!

Ok, no panic. Ormai è così e scaricherà con il tempo, facendomi probabilmente diventare rosa pallido o arancio carota. Ma state sintonizzati, perché Sandy dai mille colori ha in serbo per voi nuove sorprese! Santo cielo…

lunedì 18 dicembre 2017

Un viaggio verso Amami

Ci sono difficoltà e difficoltà. Quella del farsi capire ad esempio è vincolante, ma non insormontabile. Ormai siamo circondati da tecnologia che ci supporta e quindi attraverso traduttori automatici istantanei, ci riusciamo a capire più o meno facilmente. Non tutti sono madrelingua inglese o in ogni caso la parlano, però fin qui, il problema è arginabile. 
Diventa invece un po’ complicato quando oltre alla lingua, ci si mette una città con 5 porti, dove da ognuno partono varie compagnie intrecciandosi l’una con l’altra e dove, soprattutto, rimani impietrito dopo due mesi di Giappone, perché nessuno sa risolverti il problema o per lo meno darti una mano concreta. 
L’idea di prendere una nave per raggiungere Okinawa era nella mia testa da prima della partenza, ma qui ho deciso di arrivare prima del sud remoto, un po’ perché Okinawa è un’isola grande e io voglio qualcosa di modesto, un po’ per i tempi, i modi, insomma, ho optato per Amami. E pure il nome, se si sposta l’accento e lo si pronuncia all’italiana, suona carino. 
Quindi ieri, con calma placida, vado al primo porto e trovo chiuso e battello cancellati. C’erano in ufficio delle persone e chiedo a loro dove e cosa fare, così mi indirizzano ad un altro porto. Non sto a dirvi i km fatti a piedi, le trafile per farsi capire e una del customer service che voleva mandarmi in agenzia di viaggio. Ero stranita, perché qui trovano sempre una soluzione e tendenzialmente la migliore per le tue esigenze. 
In ogni caso, ringrazio il fatto che ho la testa dura come un mulo - forse ero uno di quelli degli alpini - e riguardando la mappa vedo un altro porto. L’ultimo in fondo km da dove sono, ma che dovrebbe portare in direzione Amami. 

Arrivo, salgo e... la biglietteria aperta con l’operatore e tutto il resto. Ero felice. Ma veramente tanto! Così ora ho il biglietto a/r per Amami e farò le feste laggiù. 

sabato 16 dicembre 2017

Riflessioni #X

Che sogno stanotte. Forse era più un incubo. Ero al mare o probabilmente sull’oceano ed era una bella giornata, senza nuvole, quasi verso il tramonto. Stavamo festeggiando spensierati, io e molta altra gente e ad un tratto mi giro verso il mare e vedo un muro, un muro di acqua, altissimo. Un’onda, uno tsunami venire verso di noi e le nostre case. Comincio a richiamare l’attenzione sul disastro, ma nessuno sembra preoccuparsene, allora decido di rifugiarmi in casa - non sarebbe servito a nulla, ma di sogni si parla - ma non riuscivo ad aprire la porta. Un vento fortissimo mi impediva di aprirla. Con tutta la forza sono riuscita e sono entrata, consapevole che non salerebbe servito. Guardando l’onda vedevo i riflessi di un tramonto rosso sangue bellissimo, ma spaventoso allo stesso tempo. 
Ero pronta ad essere spazzata via con la casa, ma non succedeva nulla. Fuori sentivo ancora la gente ridere e scherzare. Quindi esco e l’onda era sparita. Chiedo a questa mia ipotetica amica che mi risponde che si è infranta su un qualcosa ed era svanita. Che strano sogno. Da una parte spaventoso e dall’altra però ho provato un senso di pace vedendo quell’acqua. 


Un autobus la scelta di questa giornata. Uno per tutte le ore del tragitto e non è cosa da poco. È emozionante cambiare mezzi e trovarsi con le coincidenze, ma alcune volte è anche snervante. Togli gli zaini e rimettili continuamente. Ora il grande è stivato nella pancia di questo bus e si gode il viaggio, pacifico, come lo sto facendo io. Forse un po’ meno pacifica. Cuffie nelle orecchie ad ascoltare musica latina, per tenermi allegra. Perché sono sempre così malinconica? È proprio vero che non mi accontento mai e che quindi sono sempre alla ricerca di qualcosa? Ma di cosa. Cosa mi manca, cosa voglio capire, perché non sono soddisfatta come lo sono tante persone che conosco. Intraprendere un viaggio per capire sé stessi in mezzo ai pensieri degli altri. Alcuni farli propri e portarseli con noi, perché tutto sommato noi siamo il frutto del nostro passato e del passato degli altri, dei nostri genitori ad esempio, ma non solo. E allora mi domando se è giusto farsi carico del proprio passato e di quello degli altri. La risposta è no, ma se non avessi questo passato allora ogni giorno dovrei ricostruirmi, ogni giorno una persona nuova, con nuove idee da sperimentare, nuovi input da non dover scartare a priori. Come fare allora ad essere sempre sulle proprie posizioni. Come fare a sopportare il distacco e la differenza dagli affetti, quando la tua indole è lo stare fuori dal proprio focolare. Più vado avanti e più mi accorgo che non c’è un posto vero dove tornare, non riesco ad identificarlo, se non per gli affetti. Che fossero in Islanda o alle Azzorre, poco importerebbe perché sono le loro voci che mancano e non le cose materiali, quali una casa. Ora che si avvicina il Natale, che per me non è mai stato particolarmente sentito, causa lavoro che mi portava a passarlo come un momento dove le lancette dell’orologio la facevano da padrone, questo calore, quello che si crea durante questa festa, mi manca, per la prima volta veramente. Lo sento più forte. Mi manca il suono della fisarmonica ed i balli. Il tintinnio dei cucchiaini che girano le tisane del pomeriggio, voci felici che si augurano le buone feste, gli abbracci ed i baci, il momento dello stare tutto insieme a tavola, la preparazione ed il dopo. Ma sono certa che proprio per questo, ogni giorno, sarà sempre un po’ natale per me. 

venerdì 15 dicembre 2017

Seduta in un caffè

Ieri sono partita con il presupposto di non arrabbiarmi qualora avessi avuto una delusione dal monte Aso. Ad arrivarci però al monte Aso. 
Questa mattina mi sono svegliata tranquillamente e ho fatto colazione. Durante la quale ho conosciuto la mia room mate e così abbiamo iniziato a chiacchierare. Il tempo passa ed i pullman pure.
Arrivo al terminal degli autobus e per 10 minuti ho perso quello che avrebbe fatto al caso mio. Quello successivo era troppo a ridosso con l’orario di rientro e quindi ho salutato da lontano il monte Aso.
Chiaramente incazzata come una biscia, ho deciso di andare a riappacificare la mia mente ed il mio corpo in un giardino giapponese a 4 km dal centro. Credo di essere rimasta uno o due ore a fissare un airone bianco che pescava e al quale ho fatto un servizio fotografico.
Di rientro sono passata al terminal di nuovo, per prenotare il posto autobus verso Kagoshima, ultima mia frontiera e tappa per questo giro su Kyushu. Io e questa isola ci rivedremo a inizio gennaio, ma non voglio svelare nulla per il momento.
Il mezzo più economico che ho trovato era il bus e quindi, va benone, anche perché così non dovrò cambiare mezzi per tutto il viaggio, per una volta.
Facendo un passo indietro, ero rimasta senza batteria e quindi qual’è il miglior posto al mondo dove scroccare elettricità se non uno Starbucks? Mentre ero alla finestra a bermi il mio vanilla latte tall (come sempre) con aggiunta di cannella, vedo un ragazzo che guarda nella mia direzione, ma poi si dirige al Macdonald davanti. Dopo poco ritorna ed entra, prende un caffè ed esce sedendosi al tavolo esterno. Tempo 10 minuti e lo vedo salutare qualcuno dall’altra parte della strada… Ma vedi quant’è piccola questa città. Un’altra volta Sean, il ragazzo del giorno prima.
Esco a salutarlo e conosco il suo amico. Parliamo un po’ e scopro che siamo vicini di casa - lui è Albanese, di Tirana - ed iniziamo a raccontarci della giornata.
Il fatto che questi ragazzi abbiano deciso di vivere definitivamente in Giappone, hai miei occhi è affascinante, devo ammetterlo. Ma non perché io non abbia mai pensato di vivere al di fuori dell’Italia, anzi, però il Giappone. E’ una terra che io amo, per la quale ho speso anche del tempo per le ricerche fatte, per la mia stessa tesi di maturità, per le persone che ho conosciuto e che porto nel cuore, ma no, non credo riuscirei a vivere qui.
E comunque, si sono aggiunte altre due room mate, e una sta già dormendo con la bocca aperta e russando. E se facessi come nel film di Pozzetto “il ragazzo di campagna”, quando ingoia il ragno? 

Fatto sta che stanotte non si dorme, o meglio, fammi cercare i tappi per le orecchie.

giovedì 14 dicembre 2017

Come tre vecchi amici

Il controllore di oggi ha un non so che di erotico quando parla. Fa respiri profondi e questa cosa la trovo seriamente imbarazzante. 
Non credevo nella mia vita di prendere così tanti treni. Mi immaginavo su aerei ed invece ho imparato a muovermi lentamente. E quando ci potrei mettere 30 minuti per raggiungere un posto, io ci impiego due ore con 5 cambi di svariati mezzi. È una continua evoluzione dell’essere. Non è il viaggio che fagocita me, ma il contrario. Guardando fuori da innumerevoli finestrini e assaporando scogliere irte che corrono giù verso l’oceano o gallerie fitte di vegetazione. Questo è il viaggio lento. In piedi davanti all’altro, senza fretta. 
Arrivo a Kumamoto da Imari, dopo 4 o 5 ore di treno e altrettanti cambi. Non ricordo e immancabilmente perdo il conto. Durate l’arrivo in stazione, mi trovo davanti, sulla collina, una costruzione che in Giappone non mi era mai capitato di vedere prima d’ora, uno stupa. Lascio lo zaino grande in ostello e mi dirigo sulla collina, tralasciando castelli e varie.
Il navigatore mi diceva di passare lungo il parco della città. Sembrava essere grande e bello, per cui mi sono diretta in quella direzione. Uno scenario a dir poco inusuale per essere Giappone, dove tutto pare perfetto e niente è fuori posto. Il parco, chiuso, con transenne e cartelli. Quello che doveva essere il portale d’accesso, in mille pezzi. Ho pensato a qualche disgraziato che si era preso la briga di andare a sbattere, poi ho pensato sorridendo “Sei in Giappone! Non può essere” e tornando sui miei passi, ho scelto un’altra via, e per fortuna.
Inizio la salita alla collina ed incontro un signore che cerca il mio sguardo per salutarmi. Adoro questo genere di cose, mi fanno sentire coccolata. Proseguo la scalinata e arrivo al primo torii e a delle scale tutte rotte e penso un’altra volta a quanto possa essere strano.
Davanti a me due uomini, che da lontano pensavo fossero locali ed invece avvicinandomi, poi ho scoperto americani, Bill e Sean. Passo dietro di loro e li saluto.
“Ehi tu, dove stai andando?” mi chiede Bill. Al momento però non sapevo ancora il suo nome.
“Vado là sopra, a vedere lo stupa. Non si può?” faccio io. 
Lui di tutto punto mi chiede se ho del tempo da dedicargli perché sta salendo con il suo amico a vedere la stessa cosa, ma prima vorrebbe raccontarmi un po’ della storia della città.
Tra me e me penso alla fortuna di aver incontrato queste due splendide persone. Ci presentiamo. Mi parlano di loro e mi chiedono cosa facessi io lì e cosa volessi visitare.
In realtà io qui sono venuta solo per vedere il Mt. Aso, ma ci vuole intera giornata, per cui stavo facendo passare il tempo rimasto dalla discesa dal treno in poi.
Bill vive qui da diversi anni ormai. Trasferitosi da Kyoto, per problemi famigliari. 
Ci sediamo su una panchina e mi racconta di periodo Edo e Meiji, delle guerre del 1876 e 1877 e che in realtà la prima fu più una schermaglia che una guerra. Ad un tratto, dopo aver visto la spianata dove sparavano i cannoni, ci dice “Ora vi faccio vedere una cosa che sanno in pochi” e arriviamo davanti ad una tomba con una croce. Accidenti, una tomba cristiana!
“Vedete, qui c’è scritto Mya. Questo masso è stato scoperto per caso dai giardinieri di quel cimitero” ed indica il cimitero dove i soldati della guerra erano stati sepolti “Era lì accanto. Durante le pulizie dalle sterpaglie, è stato rinvenuto questo reperto, nessuno capiva però cosa o a chi fosse dedicato. Vennero diverse persone per ricostruire la storia ed alla fine si arrivò alla conclusione che quella fosse la lapide in ricordo di Mya e della sua famiglia. Unica famiglia cattolica che per quei tempi, non era affatto vista bene e così furono trucidati tutti. Mya, il marito, 4 domestici ed i bambini.” Proseguendo la visita, siamo arrivato sopra il monte Hanaoka. Bill mi informa che quello stupa è stato donato dall’India e che qui risiedono le reliquie del Buddha. Inoltre mi accenna anche al fatto che il torii che avevamo visto all’inizio della salita era stato demolito dal terremoto. Rimango perplessa, ma proseguo il pomeriggio davanti ad uno splendido tramonto, mangiando patatine, come fossi al cinema.
Di rientro in ostello, chiedo alla proprietaria qualche indicazione per raggiungere il Monte Aso il giorno successivo, ma mi informa che a causa del terremoto, l’unico mezzo è probabilmente il bus.
A questo punto la domanda è storta spontanea, chiedendole quando è stato questo benedetto terremoto. Mi risponde “l’anno scorso”. 

Ora avevo chiaro il quadro e guardandola negli occhi, avevo anche chiaro che l’intensità non fu bassa. Ora, documentandomi con davanti il mio laptop, posso affermare che nell’aprile 2016, Kumamoto è stata scossa da un magnitudo 7 e dalle immagini che ci sono in internet, c’è solo da aver paura.

venerdì 17 novembre 2017

On the road

Qui c'è il link del mio itinerario. Aggiornato quotidianamente con tutte le mie tappe e le foto dei posti che scopro di giorno in giorno. Se volete darci un'occhiata, basta un click...


Mappa di viaggio

E sarà il caso che cominciate a seguirmi, se non volete che vi rubi il Natale!! Sì, dico proprio a tutti voi!

venerdì 10 marzo 2017

Ho fatto un sogno

Ph: ringhio - Cuba

Ho fatto un sogno...
All'inizio non era particolarmente bello, nonostante l'intensità fosse palpabile fin da subito.
Ero in una casa coloniale cubana, molto ben tenuta, affrescata con mille colori, con un bel patio pieno di piante e fiori e drappeggi per sopperire alla calura estiva.
Mi davano ospitalità due signori, una coppia di media età, che mi aveva presa in simpatia e mi vedeva come una figlia. Lei,  molto austera, era il capo e pesava quanto suo marito e la governante insieme. Lui, gracile, con la pelle bruciata dal sole e gentile, tanto. E poi c'era la governante, una tipina pelle e ossa, saggia, quanto il mare, raggrinzita, curva, con un cappello di paglia che le oscurava gli occhi, ma che in ogni suo movimento sprigionava calore, amore, grinta e dolcezza. Rimaneva a volte seduta sul suo piccolo sgabello ad intrecciare qualcosa, altre stendeva i panni, quei panni bianchi, da far male agli occhi.
Mi invitarono a cena e arrivò ogni genere di frutta e altri generi alimentari, ma ricordo solo la frutta. Tanta, di tutti i colori, grandezze e varietà. Mai assaggiata nessuna di quelle, ma le provai tutte perché la padrona altrimenti si sarebbe potuta offende e chi mai vorrebbe fare un torto ad un peso massimo.
Si intavolarono dei discorsi per spezzare il silenzio. Discorsi stupidi all'inizio, come si fa sempre quando non si conosce qualcuno, finché l'incalzare della serata ci portò a parlare del senso della vita, delle aspettative, di perché io fossi lì, del perché loro avevano scelto quel tipo di vita. Lei, alzò i toni perché voleva aver ragione sul fatto che se loro sono stati così fortunati da avere tutto quello che hanno, non devono rendere conto a nessuno e che non c'è nient'altro fuori di lì...
Ora non ricordo le esatte parole, ma mi ferirono, molto. Ricordo, nonostante io non sia prodiga nel dare consigli o controbattere, che mi scaldai. Mi salì un fuoco dai piedi, fino al cuore e poi agli occhi ed infine al cervello. Iniziai a singhiozzare, a piangere dal nervoso, a spiegare di quanta bellezza c'è là fuori, negli occhi della gente, nelle parole di un bambino, nei gesti lenti di un anziano, in un tramonto, in un'ora di solitudine con un buon libro. Mi gettai rannicchiata a terra, perché lei non poteva capire questi discorsi e io stavo male per lei. Suo marito, si accasciò a terra e mi circondò con un braccio, finché non riuscì a rialzarmi e a far pace con me stessa.
Era arrivato il tempo di andarmene da quella bellissima casa, che mi aveva comunque insegnato molto.
Era mattina quando uscii e presi una bici, che la governante della casa mi regalò. Avevo con me questa bici ed un vestito bianco, fatto a mano da lei. Nient'altro.
Girai e girai un paese e poi un altro, passando rasente a spiagge di una bellezza sconvolgente, bianche e gremite di locali che giocavano, facevano il bagno e prendevano il sole, dopo una mattinata di lavoro.
Impegnata nella salita e a fantasticare su questi posti, non mi accorsi di un ragazzo che stavo per investire, attraversando la strada. Anche lui vestito di bianco.
Mi fermai per chiedergli se andasse tutto bene e per scusarmi, ma lui con un sorriso mi disse, vieni, ti porto a vedere il sole spegnersi nel mare, in un posto che pochi conoscono.
Abbandono la bici non so dove e mi faccio trascinare in questo teatro naturale, dove conosco altre persone. Al largo dei kitesurfers che con le loro vele salutano il sole, piegandole al volere del vento, una volta a nord e una volta a sud, una campana che suona in lontananza, le risate di bambini che giocano a palla, la pace, la felicità e in quel momento, mentre quella sfera enorme rosso fuoco tocca il mare, perdo le parole, perdo la voce, perdo il respiro. Non c'è più nulla intorno a me, come se fossi in una bolla e poco dopo, questo magnifico sole, lascia spazio a quanto di più bello sia stato creato nel firmamento. Avvolta da una coperta di stelle, mi risveglio, felice e grata per un sogno così.